Architettura umano-centrica giocata su luce e comfort

Ci hanno abituati a immaginare un pianeta fatto di grandi foreste come polmoni naturali, capaci di assorbire CO2 e rilasciare una riserva di ossigeno in atmosfera, e in contrasto aree urbanizzate “programmate” per emettere CO2 e dunque per inquinare il pianeta, incidendo sull’effetto serra. E se invece potessimo immaginare città con una carbon footprint negativa?

 

Oggi è possibile. E non si parla di prototipi futuribili, di progetti avanguardistici. È ormai realtà - e ha trovato applicazione anche in Italia - una tecnologia costruttiva che permette di progettare edifici a zero emissioni, in grado di filtrare CO2. A Milano la novità si chiama Open 336, un palazzo con destinazione direzionale/uffici progettato dallo studio Park Associati per l’americana Barings Real Estate. Grazie a uno speciale filtro - realizzato in materiale organico e biodegradabile - assorbe anidride carbonica dall’aria, pure con un potere circa otto volte superiore a quello delle piante, fino a 600 ore e può essere rigenerato fino a 7 anni.

L’avvento di queste tecnologie – in combinazione con altre in evoluzione – permette di pensare ad un approccio differente alla città. Un percorso non semplice, ma ragionevolmente attuabile per trasformare in realtà l’utopia di una armonizzazione tra gli insediamenti umani e la natura. Viene da chiedersi come questo possa avvenire in tempi rapidi. Probabilmente con una sinergia tra mondo della ricerca, istituzioni, progettisti e pianificatori del territorio.

Architettura umano-centrica giocata su luce e comfort